L’infezione da Papillomavirus Umano (HPV) è la malattia sessualmente trasmissibile più comune in entrambi i sessi. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato l’HPV come agente cancerogeno per l’uomo sin dal 1995, poiché è responsabile di tumori in vari organi, in particolare nella cervice uterina. Si stima che l’HPV sia la causa di quasi il 100% dei tumori cervicali, dell’88% dei tumori anali, del 70% dei tumori vaginali, del 50% dei tumori penieni e del 43% dei tumori vulvari. Anche se la maggior parte delle infezioni da HPV si risolve spontaneamente senza sintomi (il 60-90% delle infezioni, sia da genotipi oncogeni che non oncogeni, guarisce entro 1-2 anni), la persistenza del virus può causare lesioni benigne e maligne a livello della pelle e delle mucose.

Il cancro cervicale, causato dalla persistente infezione da HPV ad alto rischio, è tra i tumori con maggiore possibilità di sopravvivenza, grazie alla disponibilità di trattamenti efficaci e alla possibilità di diagnosi precoci.

Lo screening oncologico rappresenta quindi uno strumento fondamentale, tanto che le Linee Guida europee e italiane consigliano l’attuazione di programmi di screening organizzati, con invitati attivi da parte delle Aziende Sanitarie Locali per le persone a maggior rischio, offrendo loro un percorso diagnostico

Tuttavia, la pandemia da COVID-19 ha avuto un forte impatto sui programmi di prevenzione, poiché il rischio di contagio da COVID è stato percepito come una priorità assoluta, mettendo in secondo piano altre prestazioni sanitarie meno urgenti. La prevenzione del carcinoma cervicale ha subito due importanti battute d’arresto: il calo degli inviti per lo screening e una rilasciata delle adesioni alla vaccinazione anti-HPV. Si stima che in Italia ci siano stati circa 540.000 controlli in meno, con circa 2.500 diagnosi non effettuate.

All’inizio della pandemia, la riduzione nell’adesione ai programmi di screening era legata alla paura di contrarre il COVID, accentuata dalle restrizioni (distanziamento, lockdown). Successivamente, l’introduzione del vaccino anti-COVID ha aumentato la diffidenza verso i vaccini in generale, anche per coloro che erano già propensi alla vaccinazione. Alcuni hanno dubitato di possibili interazioni tra il vaccino anti-COVID e quello anti-HPV, optando di dare priorità al primo.

Nonostante una dichiarazione costante dei tassi di mortalità per tumore della cervice uterina negli ultimi decenni, grazie allo screening (Pap test e HPV test), questa neoplasia rimane una delle cause più comunità di morte per cancro tra le donne. In Italia, nel 2020, si stimavano circa 2.365 nuovi casi di tumore della cervice uterina, che rappresentano l’1,3% di tutti i tumori nelle donne, ed è la quinta neoplasia più frequente prima dei 50 anni. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è pari al 68%, con oltre 51.000 donne che vivevano con il tumore della cervice uterina in Italia.

Purtroppo, dopo un costante aumento, la partecipazione allo screening cervicale è scesa dal 52% nel 2019 al 46% nel 2020, con cali significativi in ​​tutto il Paese, in particolare nelle regi

Le azioni per recuperare la mancata partecipazione dovrebbero tenere conto delle disuguaglianze geografiche e sociali già esistenti prima della pandemia e considerare l’efficacia delle campagne di sensibilizzazione per raggiungere

Il personale sanitario deve essere ben preparato a comunicare l’importanza della vaccinazione, anche affrontando con delicatezza temi legati alla sessualità. Le madri di ragazze, infatti, talvolta temono che il vaccino possa suggerire una sessualità precoce, mentre le madri dei ragazzi non comprendono sempre l’importanza della vaccinazione universale e dell’immunità di gregge.

I programmi di screening e la vaccinazione anti-HPV sono misure vitali per la salute pubblica, con l’obiettivo di raggiungere tutti, senza discriminazioni. È fondamentale che la popolazione, in particolare i giovani, comprenda l’importanza di tornare a occuparsi della propria salute, prestando attenzione anche alla prevenzione.